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Foto di Stefano Nai

NOVARA – Vi ricordate i salotti eleganti di una volta, dove una ristretta élite si riuniva per fare cultura tra concerti, letture, recite e dibattiti? Ebbene, nel centro storico di Novara, in un bell’appartamento dotato di una terrazza con panorama da cartolina, c’è qualcuno che ha “riesumato” quell’usanza adeguandola ai tempi e rendendola accessibile a chiunque ami la cultura. Iniziati come appuntamenti fra amici poi estesisi con il passaparola ad una cerchia sempre più ampia di persone, questi Eventi in appartamento, ideati ed organizzati da Delia Leuzzi e dal marito Paolo Colombo, hanno avuto un successo crescente tanto che di recente tale consuetudine ha preso la forma concreta di un’associazione, RI-NASCITA, la quale si pone l’obiettivo di continuare a promuovere eventi culturali di alto livello in tutte le discipline artistiche (musica, teatro, letteratura, pittura…), di offrire iniziative legate al territorio volte ad ampliare la conoscenza di ciò che ci circonda e che costituisce la nostra identità e di supportare in particolare i giovani artisti, favorendo ricerche, pubblicazioni, corsi, laboratori… Insomma un programma ambizioso e di tutto rispetto, che sicuramente Delia e Paolo sapranno portare avanti con la passione e la determinazione che finora li ha contraddistinti.

 

Maria Olivero (foto di Paola Deandrea)

Maria Olivero (foto di Paola Deandrea)

La serata inaugurale dell’associazione, svoltasi sabato 15 febbraio e apertasi con una breve esibizione di alcuni giovanissimi talenti novaresi che si sono alternati fra violino, tastiere, batteria e canto (Federico e Francesca Colombo, Pietro Giovaninetti, Gaia Leuzzi, Cesare Nai e Lorenzo Zane) proponendo brani che spaziavano dai Green Day a Ludovico Einaudi, ha avuto come madrina d’eccezione Maria Olivero, da poco tornata da una fortunata tournée negli Stati Uniti insieme alla sua coautrice Elena Maro (le due artiste si sono esibite, fra l’altro, all’Hard Rock Café di Hollywood). Cantautrice, chitarrista e pianista, la Olivero, accompagnata dalla Maro, nella prima parte della serata ha deliziato i presenti con alcune canzoni del proprio repertorio, che mescola pop, blues e tradizione popolare irlandese, ed in particolare tratte dall’album Anyway e dall’EP Barbra Belle. Dopo una gustosa pausa in cui si sono potuti assaporare i vari piatti preparati dagli intervenuti, la musica e le emozioni sono state di nuovo protagoniste grazie alle due artiste, che hanno proposto qualche estratto del loro recital teatrale pop … E in mezzo l’oceano – Josephine Baker: una biografia emozionale, dedicato alla cantante e ballerina afroamericana nota come la “Venere nera” e presentato in anteprima alcuni mesi fa non distante da Novara. Lo spettacolo – hanno annunciato Maria ed Elena – andrà inoltre in scena al Coccia il prossimo novembre in occasione della Giornata dei Diritti dell’Infanzia, poiché la Baker, donna estremamente moderna e avanti rispetto ai tempi, adottando 12 bambini provenienti da Paesi diversi è stata simbolo della lotta per la difesa dell’infanzia e della fratellanza tra differenti culture. Nel corso della serata l’esibizione delle due brave e sensibili musiciste, che a luglio torneranno negli Stati Uniti, è stata impreziosita da alcuni interventi di Italo Colombo all’armonica.

Maria Olivero ed Elena Maro (foto di Paola Deandrea)

Maria Olivero ed Elena Maro (foto di Paola Deandrea)

 

Il prossimo appuntamento di RI-NASCITA sarà sabato 8 marzo alle ore 19.15 in Via Fratelli Rosselli 3 con lo spettacolo …DI SUONI E D’AMORE… della musicista e compositrice Simona Colonna, che si è aggiudicata il primo premio al “Biella Festival 2011” e recentemente è stata ospite alla trasmissione radiofonica  RAI Radio3 La Stanza della Musica, dove ha presentato il suo lavoro discografico. Nel comunicato stampa si legge: «La sua musica  si combina tra le armonie contemporanee e le melodie classiche, attraverso le sfumature della musica folk e jazz. Con i suoi strumenti, la voce e il violoncello, Simona Colonna ci trasmette energia, carica teatrale e tecnica sonora».
Seguirà il consueto rinfresco. L’ingresso è ad offerta libera con tessera associativa.
Per prenotarsi e per qualsiasi altra informazione sull’associazione e sullo spettacolo, si possono contattare i seguenti numeri: 334.6647702  (Delia) e 338.8096290 (Paolo).

 

Clarissa Egle Mambrini

 

NOVARA – Teatro Coccia gremito in ogni ordine di posti (come purtroppo non accade spesso) per il musical Frankenstein Junior della Compagnia della Rancia andato in scena il 16 e il 17 novembre: tanti ragazzi e famiglie anche con bambini al seguito, richiamati dal titolo celebre tratto dall’omonimo famosissimo film di Mel Brooks e dalla garanzia di qualità e professionalità di cui è sinonimo la compagnia diretta da Saverio Marconi, presente in sala insieme al novarese Marco Iacomelli, regista associato dello spettacolo e Direttore Artistico della neonata Scuola del Teatro Musicale che ha sede nei locali del Piccolo Coccia. FJ_scena_04

Il musical, versione italiana di quello scritto e musicato direttamente da Mel Brooks, ha debuttato un anno esatto fa, il 28 novembre 2012, al Teatro Brancaccio di Roma, ottenendo immediatamente un grande successo.
La storia del dottor Frederick Frankenstein, qui interpretato dal sempre bravo Giampiero Ingrassia, ha del resto appassionato schiere di spettatori di ogni età fin dalla sua comparsa sul grande schermo nel 1975, entrando a far parte delle cento commedie americane più amate di tutti i tempi.

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Ritmo, gags (spesso equivoche), buona musica, cast artistico e tecnico di alto livello, un’accurata scenografia che ricrea il più fedelmente possibile le ambientazioni del film (girato in bianco e nero come parodia delle pellicole anni Venti ed in particolare di quelle dedicate alla creatura nata dalla penna di Mary Shelley), accattivanti giochi di luce: questi gli ingredienti vincenti dello spettacolo, caratterizzato da alcuni elementi metateatrali e condito inoltre da alcune leggendarie battute che tutti gli appassionati di cinema conoscono a memoria e che non potevano certo mancare proprio qui. Così come immancabili erano il tema del violino e il duetto tra Frankenstein e il Mostro Puttin’ on the Ritz di Irving Berlin, uno dei momenti di maggior coinvolgimento del pubblico.

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Tante risate, quindi, e diversi applausi a scena aperta per tutti i simpatici protagonisti (Giulia Ottonello, Mauro Simone, Altea Russo, Valentina Gullace, Fabrizio Corucci, Felice Casciano, Davide Nebbia, Roberto Colombo, Michele Renzullo), che intanto proseguono il fortunato tour nel resto d’Italia.
Sarebbe bello vedere un pubblico così numeroso e variegato anche a spettacoli che non siano di puro e semplice svago come Frankenstein Junior, ma – per carità – non lamentiamoci e godiamoci questo trionfo.

 

FRANKENSTEIN JUNIOR – IL MUSICAL
Testo Mel Brooks e Thomas Meehan
Musica e liriche Mel Brooks
Traduzione in italiano Franco Travaglio
Regia e coreografie originali Susan Stroman
Regia Saverio Marconi
Regia associata Marco Iacomelli
Coreografie Gillian Bruce
Scenografie Gabriele Moreschi
Costumi Carla Accoramboni
Disegno luci Valerio Tiberi
Disegno fonico Enrico Porcelli
Trucco e acconciature Antonella Marinuzzi
Vocal Coach Lena Biolcati
Produzione Compagnia della Rancia

 

Spettacolo visto sabato, 16 novembre 2013

 

Clarissa Egle Mambrini

 

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NOVARA – Dopo 35 anni di successi e più di 1000 repliche, lo scorso 13 novembre Mi voleva Strehler è finalmente approdato anche a Novara. Lo spettacolo, interpretato fin dal 1978 da Maurizio Micheli (anche autore insieme ad Umberto Simonetta) e diretto da Luca Sandri, è un vero e proprio one man show che diverte il pubblico per più di un’ora e mezza senza avere mai momenti morti. Seppure con qualche lieve modifica apportata per diminuirne la durata e non correre il rischio di annoiare gli spettatori odierni, abituati a ritmi più veloci rispetto ad una volta, Mi voleva Strehler è rimasto pressoché immutato dal giorno della sua prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Gerolamo di Milano. Allora Giorgio Strehler e il suo Piccolo Teatro erano considerati il massimo cui un attore potesse ambire: essere diretti anche solo in una parte secondaria dal grande regista (ormai ritenuto in tutto il mondo il Regista del Novecento) e recitare sul palco di Via Rovello erano il sogno di una vita. Oggi il Piccolo rimane un’istituzione, ma purtroppo Strehler, a sedici anni dalla scomparsa, per molti sembra finito nel dimenticatoio – come dichiarato dallo stesso Micheli – e fra i giovani c’è addirittura chi ne ignora il nome.Strehler8
Lo spettacolo – tutto messo in scena su una pedana girevole che all’occorrenza è camerino, palcoscenico del locale di cabaret e appartamento del protagonista – verte sulla preparazione del provino che un attorucolo di cabaret deve sostenere di fronte a Strehler: l’evento atteso da una vita, che potrebbe finalmente significare una svolta per la propria carriera. La sera e la notte precedente al grande giorno Fabio Aldoresi – questo il nome del protagonista – è ovviamente preso dall’ansia e le pensa tutte pur di far colpo sul Maestro. Ogni volta gli sembra di aver trovato l’idea vincente, salvo accorgersi subito dopo che si tratta di una pensata strampalata che cerca immediatamente di sostituire, senza riuscirci, con qualcosa di meglio. E così via per tutto lo spettacolo, durante il quale viene fatto rivivere il teatro italiano – e milanese in particolare – degli anni Sessanta e Settanta. I nomi citati, le canzoni sono quelli di allora e basta accennarli per calare lo spettatore indietro nel tempo, in una Milano che adesso sembra tanto lontana. Così come non mancano riferimenti ad altre realtà di quegli anni: il teatro alternativo, la protesta, il celeberrimo Living Theatre, l’impegno politico.
Momenti spassosi, fatti di una comicità esilarante e mai volgare, lasciano talvolta lo spazio ad una certa nostalgia per un’epoca perduta. Di Strehler, continuamente evocato, pare di rivedere e risentire i tratti caratteristici: la camminata nervosa su e giù dal palco durante le prove, l’inconfondibile dolcevita nero, la perenne insoddisfazione, la severità, la voce… Tanto che in alcuni passaggi viene spontaneo guardare giù in platea, fra le prime file, pensando di trovarlo là, mentre assiste al provino sgangherato di Aldoresi. Ma è solo un’ombra della fantasia, una fugace illusione teatrale. Che però grazie al sempreverde spettacolo di Micheli si perpetua continuamente, preservando la memoria del grande regista triestino.
Peccato che il Coccia quella sera fosse semivuoto… Fortunatamente il pubblico, seppure non numeroso, si è fatto sentire con frequenti risate e convinti applausi.

 

13 novembre 2013, Teatro Coccia
MI VOLEVA STREHLER
di Umberto Simonetta e Maurizio Micheli
Regia Luca Sandri
Con Maurizio Micheli
Produzione Teatro Franco Parenti

 

Clarissa Egle Mambrini

 

NOVARA – Farà giorno è uno spettacolo che apre la mente e il cuore, di quelli che, tra un sorriso e una lacrima, toccano l’anima e rimangono indelebili nella memoria di chi ha avuto il piacere di assistervi. Peccato vedere dei posti vuoti (troppi!) al Teatro Coccia la sera del debutto nazionale lo scorso 9 novembre, tanto più se si considera che protagonista dell’evento era niente meno che Gianrico Tedeschi (93 anni di cui più di 60 di carriera), ma per fortuna gli spettatori presenti si sono fatti sentire applaudendo lungamente gli attori al termine della serata con un affetto e un calore spesso rari per i novaresi, prova quindi della perfetta riuscita di questo allestimento diretto da Piero Maccarinelli.

Foto di Piero Pesce

Foto di Piero Pesce

Superfluo dire della bravura di Tedeschi, che ha recitato per più di due ore con un carisma e una vitalità a dir poco invidiabili. Non sono stati da meno i suoi due compagni d’avventura, la moglie Marianella Laszlo, in scena solo nel secondo atto, e il giovane Alberto Onofrietti, ottimo coprotagonista e sorprendente rivelazione. Graditissima sorpresa è stato anche il testo di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, che ben mescola comicità e dramma affrontando tematiche tremendamente attuali ed urgenti, di fronte alle quali gli spettatori sono obbligati a riflettere ed interrogarsi. La vicenda, per la quale gli autori hanno tratto ispirazione da due episodi accaduti loro veramente (l’incontro fortuito con un gruppo di giovani fascisti e poi con un vecchio partigiano), racconta lo scontro/incontro fra l’anziano Renato, comunista ed ex partigiano, e Manuel, bullo “fascistello” e suo condomino. Il tutto prende le mosse dal momento in cui quest’ultimo investe involontariamente l’altro: per evitare la denuncia si offre di assisterlo gratuitamente in casa fino a quando non guarirà completamente. Il rapporto fra i due ovviamente all’inizio è pieno di contrasti, ma col passare del tempo si trasforma in un dialogo proficuo che costringe entrambi i personaggi ad ammettere debolezze e paure e a rimediare ad alcuni errori del passato. Renato e Manuel non sono simboli soltanto di due diverse ideologie bensì di modi antitetici di intendere la vita e di comportarsi nonché di nodi mai sciolti nella controversa storia del nostro Paese. A loro si aggiungerà, verso la fine, Aurora, la figlia cinquantenne di Renato con un passato da terrorista, che torna a casa inaspettatamente dopo trent’anni di assenza. E anche in questo caso lo scontro si trasformerà in confronto e riconciliazione.

Foto di Piero Pesce

Foto di Piero Pesce

Tanti i momenti in cui si sorride e si ride, altrettanti quelli in cui l’atmosfera diventa più malinconica e nostalgica facendo commuovere il pubblico, specialmente nel finale, illuminato dalla speranza. Lo spettatore comunque, nonostante la staticità della scena (tutto si svolge nella stanza di Renato) è costantemente coinvolto non solo col cuore ma anche con la mente grazie ai numerosi spunti di riflessione regalati da questo testo, che pur nella sua semplicità di linguaggio offre alcuni passaggi davvero degni di nota. Nella commedia non si parteggia per un personaggio o per un altro, viene data voce a tutti e tre, così come nella realtà si dovrebbe sempre fare per imparare a conoscere la Storia e a capire la contemporaneità. Cosa purtroppo ormai rara, soprattutto fra i giovanissimi, che crescono come se non avessero un passato. Proprio a loro forse sarebbe stato più che mai adatto questo spettacolo, efficace più di tante monotone ed impersonali lezioni di storia.

Foto di Piero Pesce

Foto di Piero Pesce

Dopo Novara, Farà giorno è già stato a Cormons (Gorizia) e Camaiore (Lucca); da martedì 19 novembre fino a domenica 1° dicembre è a Roma al Teatro Sala Umberto, mentre dal 3 al 22 dicembre sarà a Milano al Teatro Franco Parenti. Non lasciatevelo scappare!

 

9  e 10 novembre 2013, Teatro Coccia
FARÁ GIORNO
Commedia in due atti di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi
Con Gianrico Tedeschi
e con Marianella Laszlo e Alberto Onofrietti
Regia Piero Maccarinelli
Assistente alla regia Alessandro Loi
Scene Paola Comencini
Produzione Artisti Riuniti
 

Spettacolo visto sabato, 9 novembre 2013

 

Clarissa Egle Mambrini

MACBETHlocandina
Regia: Orson Welles
Soggetto e sceneggiatura: Orson Welles (dall’omonima tragedia di William Shakespeare)
Cast: Orson Welles (Macbeth), Jeanette Nolan (Lady Macbeth), Daniel O’Herlihy (Macduff), Edgar Barrier (Banquo), Roddy McDowall (Malcom), Erskine Sanford (Duncan), Alan Napier (Padre Santo), Christopher Welles (figlio di Macduff)
Fotografia: John L. Russel
Scenografia: Fred Ritter con la collaborazione di John McCarthy Jr. e James Redd
Costumi: Orson Welles, Fred Ritter e Adele Palmes
Musica: Jacques Ibert
Montaggio: Louis Lindsay
Produzione: Mercury Production, Republic Pictures – USA, 1947
Durata: 107 minuti (versione originale), 81 minuti (versione tagliata)

 

 

 

 

Macbeth, composta fra 1605 e 1606, è una delle più famose tragedie shakespeariane. Per la sua trama a tinte forti, densa di delitti, sete di potere e follia omicida, che va a scavare nelle zone più oscure dell’animo umano, è stata fonte di ispirazione per molti artisti ed è purtroppo oggi più che mai attuale, come ha voluto dimostrare per esempio il regista Andrea De Rosa nel suo discutibile adattamento andato in scena lo scorso inverno a Milano. Molto prima di questa recente versione, però, altre due arti affini si sono impossessate del dramma shakespeariano: il melodramma, con l’opera composta da Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave e traduzione di Andrea Maffei (che tra l’altro venerdì e domenica inaugurerà la stagione del Coccia di Novara con l’insolita regia di Dario Argento), e il cinema, con alcuni film tra i quali uno dei più celebri è quello diretto e interpretato da Orson Welles nel 1947.

L’artista statunitense (1915-1985), celebre regista e protagonista di Quarto potere (Citizen Kane, 1941) – considerato da «Sight & Sound», rivista del British Film Institute, il film migliore di sempre e spodestato l’anno scorso da La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcok – aveva già messo in scena il Macbeth in altri contesti prima di arrivare all’adattamento cinematografico. Si ricordano infatti il Voodoo Macbeth al Federal Theatre di Harlem (1936), ambientato ad Haiti ed interpretato da attori di colore, l’allestimento allo University Theatre di Salt Lake City per lo Utah Centennial Festival (1947) – che fu quello più influente sul film – e le versioni radiofonica (1937) e discografica (1939) con la compagnia Mercury Theatre, da lui fondata.
Fra teatro e cinema Welles adattò anche altri drammi del bardo inglese, ma a quanto pare fu questo il suo prediletto, presentando il maggior numero di messe in scena.


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Profondamente convinto del fatto che Shakespeare sia molto facile da portare in scena se preceduto da un intenso periodo di prove, il poliedrico artista si prese quattro mesi per le prove con gli attori e dopo di che, in soli 23 giorni nell’estate del 1947, effettuò le riprese del film in uno studio della Republic con un budget limitatissimo di 65 mila dollari.

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Questa povertà di tempi ma soprattutto di mezzi è purtroppo evidente nella pellicola, in cui i cinque atti della tragedia teatrale sono condensati in un’ora e venti minuti, i costumi e le scenografie, volutamente espressionistiche, appaiono piuttosto rudimentali e talvolta visibilmente finti, tanto da suscitare addirittura qualche sorriso quando si vedono questi prodi cavalieri scozzesi abbigliati e acconciati come lontani parenti di Gengis Khan e Macbeth, nella battaglia finale, con una corona assai simile a quella della Statua della Libertà. L’ambientazione è volutamente indefinita, probabilmente a sottolineare la costante attualità e universalità della vicenda narrata; diciamo che è accostabile ad un medioevo senza tempo, come nelle fiabe.

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Una volta ultimato e montato, il film continuò ad avere vita travagliata. Visto infatti l’esito disastroso  dell’anteprima, si optò per l’eliminazione dell’accento scozzese dei personaggi e il taglio di alcune scene, cosa che costrinse il regista a registrare nuovamente il parlato della pellicola e a ridurla da 107 a 81 minuti, lasciando cadere nell’oblio elementi che forse avrebbero potuto contribuire ad un migliore risultato nel lungo periodo, come per esempio un piano sequenza di dieci minuti, l’originalità del montaggio e una lunga ouverture musicale all’inizio della storia.

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Evidentemente anche Welles subì la maledizione di Macbeth nota nel mondo del teatro. Il dramma shakespeariano, infatti, fu spesso accompagnato da eventi funesti, a partire dalla prima rappresentazione, durante la quale l’attore che interpretava Lady Macbeth morì sul palco colpito da una febbre fulminante e fu rimpiazzato dall’autore stesso. Essendo i teatranti molto superstiziosi, è difficile trovare artisti disposti a metterlo in scena e addirittura si ricorre a diversi espedienti pur di non nominarne esplicitamente il titolo, perché già quello potrebbe essere fonte di sventure.

Consiglio in ogni caso la visione del film di Welles, che fra le molte critiche ricevette anche alcuni consensi autorevoli, come quello di Jean Cocteau che gli attribuì «una forza selvaggia e disinvolta».

 

Clarissa Egle Mambrini

 

Ieri in prima serata e oggi pomeriggio dopo pranzo su Rai 5 è stato trasmesso uno spettacolo teatrale decisamente insolito, Big Bang di e con Lucilla Giagnoni, attrice d’origine fiorentina ma ormai da anni novarese d’adozione, formatasi alla Bottega di Vittorio Gassman nel capoluogo toscano. Spettacolo non è forse nemmeno il termine adatto a definirlo; di certo sarà rimasto spiazzato chi si aspettava una serata di teatro tradizionale. La Giagnoni, voce narrante e recitante, partendo dalla propria esperienza di donna e di madre si pone l’eterna domanda sul mistero dell’universo e del suo inizio. Per rispondere a questo interrogativo, riflette su tre concetti fondamentali dell’esistenza – la luce, il buio e il tempo – accompagnando il pubblico in un viaggio che mette a confronto tre diversi linguaggi: il testo sacro della tradizione biblica, la poesia (la visionarietà metafisica di Dante e la concretezza delle passioni umane in Shakespeare) e la scienza, attraverso la figura di Einstein. La meta finale è una nuova consapevolezza.lucapo (1)
Nonostante la complessità dei temi affrontati – per cui la performance necessita di essere vista più di una volta – Big Bang è comunque costruito in maniera tale da tener desta l’attenzione dello spettatore, offrendo un’ora e mezza di cultura poetica, teatrale, scientifica e religiosa fuse insieme come difficilmente capita e appassionando anche chi, come la sottoscritta, di scienza e teologia non ne sa molto. Registrato fra il Cern di Ginevra, la Sinagoga di Casale Monferrato (AL) e il Teatro Coccia di Novara e diretto da Anachnu Echad, si serve delle musiche originali di Antonio Paolo Pizzimenti e delle luci e scene teatrali di Massimo Violato, elementi che indubbiamente contribuiscono a rendere ancor più suggestivo il monologo.
Se ve lo siete perso, dunque, vi consiglio di rimediare vedendolo on line su Rai Replay, dove sarà disponibile fino a venerdì prossimo.

Lucilla Giagnoni, dopo l’esperienza alla Bottega di Gassman, per quasi vent’anni ha fatto parte della compagnia torinese diretta da Gabriele Vacis Teatro Settimo, partecipando alla maggior parte degli spettacoli, che hanno riscosso successo di pubblico e critica in Italia e all’estero. Nel frattempo ha lavorato anche con altri importanti registi in teatro e al cinema, passando per radio e televisione, dove si è sempre distinta per l’alta qualità dei suoi interventi. Tiene laboratori e seminari in tutta Italia e dal 1997 insegna narrazione alla Scuola di scrittura Holden a Torino. Per informazioni più dettagliate sul suo denso curriculum e per tenere d’occhio la sua attività, visitate il sito: http://www.lucillagiagnoni.it/

Vi ricordo infine che l’attrice sarà in scena al Teatro Coccia di Novara martedì 6 maggio 2014 alle ore 21 con Ecce Homo.

BIG BANG
di e con Lucilla Giagnoni
Regia Anachnu Echad
Musiche originali Antonio Paolo Pizzimenti
Montaggio Mario Travaini
Luci e scene teatrali Massimo Violato
Collaborazione ai testi Maria Rosa Pantè
Organizzazione Don Silvio Barbaglia, Riccardo Dellupi

Clarissa Egle Mambrini

NOVARA – La direttrice del Teatro Coccia, Renata Rapetti, ormai ci ha abituati alle sorprese, eppure ogni volta riesce a stupire. L’ultima mercoledì mattina, in occasione della presentazione ufficiale della prossima stagione, quando le autorità e i giornalisti intervenuti sono stati ospitati direttamente sul palcoscenico, accolti al loro ingresso dalle note di famose canzoni come La vie en rose e Memory eseguite da un chitarrista e da un fisarmonicista nascosti nella penombra delle quinte. «Mi piace cambiare sempre e così ho avuto questa idea per dare modo a chi, come voi, solitamente sta in platea di ammirare il nostro bellissimo teatro da un punto di vista diverso ma forse ancor più affascinante, quello del palco e delle quinte», ha affermato la Rapetti prendendo la parola dopo il discorso iniziale del sindaco, Andrea Ballarè. Il primo cittadino, elogiando il lavoro compiuto dalla direttrice nell’ultima stagione e i buoni risultati ottenuti, nonostante il pesante fardello economico lasciato dalla passata gestione (un buco di bilancio da 1,5 milioni di euro), ha sottolineato quanto il teatro sia importante per la collettività e per l’identità della città e quanto questa amministrazione intenda fare per renderlo sempre più parte integrante della vita novarese, affinché anche chi non ci ha mai messo piede vi entri almeno una volta. «La cultura è patrimonio e responsabilità e deve costituire l’aspetto predominante di una comunità. Se non ci sono fondi destinati alla cultura o vengono continuamente tagliati, in qualche modo si devono trovare, perché bisogna avere la capacità di guardare più in là», ha concluso il sindaco.
Ha proseguito allora la direttrice, definendo la stagione 2013/14 come la stagione del coraggio, visti gli sforzi incredibili compiuti per tenere aperto il teatro e garantire spettacoli di alta qualità. Il Coccia è l’unico teatro di tradizione in tutto il Piemonte, eppure, a quanto pare, la Regione sembra non curarsene (e non è mancata la frecciata del sindaco all’assenteismo della Regione; presente invece la Provincia con l’Assessore alla Cultura Alessandro Canelli). Come già l’anno scorso, il buon livello del programma è dovuto anche alla solidarietà nei confronti della delicata situazione del Coccia da parte delle varie compagnie, le quali verranno a costi inferiori rispetto ai loro budget abituali, dimostrando grande sensibilità e disponibilità, così come molti dei grandi artisti succedutisi nella stagione appena conclusa, che in itinere è stata ulteriormente arricchita da eventi che hanno esulato dal cartellone tradizionale riscuotendo comunque successo di pubblico e attirando finalmente in teatro persone che non ci erano mai entrate (pensiamo ai numerosi giovani che hanno affollato lo scorso maggio le Lezioni di rock tenute da Ernesto Assante e Gino Castaldo). Nonostante le costanti difficoltà, dunque, è grande la soddisfazione della Rapetti per i risultati ottenuti finora, che le hanno dato prova di essere riuscita a creare quel fermento in cui sperava. Gli abbonamenti sono calati (vuoi per la crisi, vuoi perché i novaresi preferiscono andare a teatro il sabato sera o la domenica pomeriggio piuttosto che nelle serate infrasettimanali), ma le vendite dei biglietti singoli sono aumentate. Fra i ricordi più emozionanti, le lacrime del famoso attore novarese Umberto Orsini per i calorosi applausi dei suoi concittadini accorsi a marzo ad ammirarlo in un difficile testo brechtiano, La resistibile ascesa di Arturo Ui. Purtroppo, la proposta da lui lanciata in quell’occasione di collaborare col Coccia per il suo prossimo spettacolo di prosa non è andata in porto per motivi economici e burocratici, ma resta comunque aperta e non si esclude di fare qualcosa in futuro. Intanto, come evidenziato dalla stessa Rapetti, largo ai giovani, i quali, a causa della crisi, vengono chiamati sempre più spesso da vari enti (che non possono permettersi grandi spese) ed hanno così la possibilità di sfoggiare le proprie capacità e competenze.

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Passando ad illustrare la stagione, la direttrice si è soffermata soprattutto sull’evento di apertura, già trapelato a livello nazionale la settimana scorsa con tanto di articolo su «La Repubblica», ovvero l’opera verdiana Macbeth con la regia di Dario Argento (4 e 6 ottobre 2013). Il maestro dell’horror, che nell’ottobre 2007 era stato fugacemente al Coccia durante le prove del musical Profondo rosso, ha immediatamente accettato la sfida (e diverse volte in passato ha rifiutato proposte simili), dicendo che non voleva avere come collaboratori i suoi del cinema, ma affidarsi totalmente al teatro e alle sue maestranze. L’allestimento – che sarà portato anche a Pisa e a Catanzaro – ovviamente è già in preparazione e Argento stesso è già stato a Novara in questi mesi, mentre in palcoscenico il lavoro di costruzione delle scenografie inizia proprio adesso. Come l’anno scorso con Morgan (tra l’altro ex genero di Argento), la Rapetti quindi vuole iniziare con il botto! Il cartellone della LIRICA proseguirà con altre due produzioni del Coccia, la celeberrima Norma di Bellini – un titolo che per quel che ricordo qui a Novara manca da parecchio tempo – allestita dal Regio di Torino e la Tosca di Puccini, rappresentata l’ultima volta nel novembre 2008 ad apertura della stagione. Per il BALLETTO invece si parte con il classico dei classici, già proposto due volte nel corso degli ultimi dieci anni ma sempre di grande richiamo, Il lago dei cigni, interpretato dal Saint-Petersburg Ballet Theatre, e si passa alla danza contemporanea (per la quale tra l’altro si sta anche programmando un cartellone a parte, possibile grazie alla vittoria di un bando di concorso) con Open di Daniel Ezralow, il quale forse riallestirà lo spettacolo proprio qui a Novara.
Tanti i titoli interessanti anche negli altri cartelloni, a partire dalla PROSA, che offrirà sia pièces classiche (Non è vero, ma ci credo, La coscienza di Zeno, L’avaro) sia più controcorrenti e innovative (Giocando con Orlando, Ricorda con rabbia), oltre ad ospitare ben due debutti nazionali – il che significa ulteriori occasioni per il Coccia di essere un’importante vetrina: Farà giorno (9 e 10 novembre 2013), con il novantatreenne Gianrico Tedeschi affiancato dalla compagna d’arte e di vita Marianella Laszlo, e Ti ho sposato per allegria (14 e 15 dicembre 2013), commedia scritta dalla Ginzburg nel 1965 per Adriana Asti e qui interpretata da Chiara Francini, volto noto ai più giovani, ed Emanuele Salce, figlio di Luciano Salce e figliastro di Vittorio Gassman.
Per il VARIEETÁ saranno di scena spettacoli che hanno ottenuto grande successo in tutta Italia, come Circus Klezmer, che mescola comicità yiddish, acrobazie circensi e musica, Frankenstein Junior, musical della Compagnia della Rancia (con la quale il Coccia ha di recente attivato una collaborazione per aprire una Scuola del Teatro Musicale a Novara), e Figaro il barbiere con Elio delle Storie Tese, ma anche spettacoli ancora da “scoprire” come Penso che un sogno così…, con Beppe Fiorello che, accompagnato da cinque musicisti, farà rivivere la storia del grande Domenico Modugno, personaggio da lui interpretato straordinariamente nella fiction andata in onda su Rai Uno lo scorso febbraio, e Una piccola impresa meridionale con Rocco Papaleo.
Per il COMICO D’AUTORE la direttrice ha detto di essersi affidata alla comicità di un certo livello piuttosto che al semplice cabaret, che in questo periodo non sembra offrire ottimi spettacoli. Si partirà con uno spettacolo che ottiene consensi da ben 35 anni, Mi voleva Strehler, per passare a L’ho fatto per il mio paese, con Lucia Vasini e Antonio Cornacchione, presentatori di Musica a km zero lo scorso 4 giugno al Coccia, e a Restyling con Teo Teocoli e si finirà con Alessandro Bergonzoni.
Non mancheranno gli EVENTI SPECIALI, che si apriranno il 14 settembre con la prima esecuzione assoluta della fiaba giocosa La gatta bianca, vincitrice del Premio Fedora ed eseguita all’interno del prestigioso Festival MITO. A seguire, La vera storia di Traviata raccontata da Corrado Augias, il Gran Galà di San Silvestro (sul quale ancora non si sa nulla), Il poeta e Mary, che vedrà il ritorno in scena di Stefano Benni alle prese con recitazione, canto e danza, ed Ecce homo di e con Lucilla Giagnoni, attrice novarese apprezzata dovunque che finalmente porta al Coccia un suo spettacolo all’interno della stagione ufficiale.
Presente ancora il cartellone FAMIGLIA (fortemente voluto dall’Assessore alla Cultura Paola Turchelli), che proporrà Pierino e il lupo, celebre favola di Prokofiev che l’anno scorso era stata rappresentata in versione danzante dal Balletto di Milano e ora sarà invece narrata da Sergio Bustric (l’attore che ne La vita è bella interpretava l’amico di Benigni), Il giornalino di Gianburrasca, coprodotto da alcune fra le realtà teatrali più importanti a livello nazionale, Lo scoiattolo in gamba, favola lirica di Eduardo De Filippo e Nino Rota, prodotta dal Coccia in collaborazione con l’Accademia Langhi e per la regia di Emiliana Paoli, in occasione della quale si pensa di coinvolgere tutte le scuole di Novara, e infine La cicala e la formica.
Dopo l’esauriente intervento della direttrice, è stata la volta dell’Assessore alla Cultura Paola Turchelli, la quale ha ripreso il discorso iniziato dal sindaco a proposito dell’importanza del teatro per la città e della necessità di aprirlo a quante più persone possibili. Ha però sottolineato le enormi difficoltà economiche, dovute anche al ritardo con cui le risorse pubbliche (comprese quelle del MIBAC) arrivano e ai tagli imposti alle amministrazioni locali, che mettono a dura prova l’esistenza dei teatri italiani. Se non ci fossero per esempio, nel caso del Coccia, le risorse della Banca Popolare di Novara, della De Agostini ecc. sarebbe molto difficile resistere. Un sentito grazie dell’assessore è andato infatti a chi si occupa dell’Amministrazione ed è quindi impegnato in prima linea quando il teatro partecipa a dei bandi concorso.
A conclusione della conferenza stampa sono intervenuti i Maestri Ettore Borri e Folco Perrino, rispettivamente Presidente e Direttore Artistico dell’Associazione Amici della Musica Vittorio Cocito,  che hanno presentato il cartellone FESTIVAL CANTELLI, dedicato alla musica sinfonica. Tra ottobre e dicembre si susseguiranno l’Orchestra Rossini di Pesaro, la Sarajevo Philharmonic Orchestra, l’Orchestra di Padova e del Veneto e l’Orchestra e Coro Ars Cantus, affiancate da grandi solisti come Massimo Quarta e Andrea Bacchetti, solo per citarne due. Fra i pezzi forti, il Concerto n° 2 di Rachmaninov e il Concerto per violino e orchestra di Mendelsshon.
Infine la parola è andata al giovane Corrado Beldì, Direttore Artistico di Novara Jazz che, illustrando il programma dei sei concerti dell’APERITIVO IN… JAZZ, ha affermato che sono stati pensati in modo tale da costruire una sorta di percorso per tappe nella storia di questo particolare genere musicale.
Per informazioni più dettagliate, anche relative a biglietti, carnet e abbonamenti (i cui prezzi sono rimasti invariati) è possibile consultare il sito www.fondazioneteatrococcia.it.
Ora non ci resta che aspettare che arrivi l’autunno!

Clarissa Egle Mambrini

Dialogo filosofico scritto nell’arco di un ventennio nella seconda metà del Settecentoorlando da Denis Diderot, Il nipote di Rameau sta girando i teatri italiani nell’adattamento di Edoardo Erba e Silvio Orlando (quest’ultimo anche regista e interprete), che, mantenendosi piuttosto fedeli al testo originale, ne hanno ulteriormente evidenziato i punti di contatto con la società di oggi.
Il dialogo si svolge in una locanda tra il filosofo (ovvero Diderot, che funge anche da voce narrante, interpretato da Amerigo Fontani) e il musico fallito Jean-François Rameau (Silvio Orlando), nipote del celebre musicista di corte Jean-Philippe Rameau. Le scene (di Giancarlo Basili), i costumi (di Giovanna Buzzi) e le musiche al clavicembalo suonate dal vivo da Luca Testa ricreano l’atmosfera del secolo dei Lumi, in cui l’opera affonda le radici, eppure in diversi passaggi è inevitabile il riferimento – talvolta velato, talvolta più esplicito – all’attualità e in particolare ai politicanti e agli intellettuali da strapazzo che imperversano nella nostra quotidianità.
Ad incarnare questi personaggi negativi, purtroppo sempre presenti nella storia dell’umanità, è proprio il nipote di Rameau, ometto cinico, pavido, ruffiano, scroccone e fannullone, che vive di espedienti ed è disposto a tutto per ottenere l’essenziale di cui (soprav)vivere giorno per giorno. La spontaneità con la quale declama la propria discutibile filosofia di vita è disarmante, ma allo stesso tempo si è quasi propensi ad ammirarne la sincerità di contro all’ipocrisia dilagante dietro la quale molte persone cosiddette “per bene” si nascondono. Rameau inneggia all’ignoranza, alla menzogna, all’arte di arrangiarsi, alle apparenze, al denaro, al potere e ai beni materiali, suscitando spesso un riso amaro che porta lo spettatore a riflettere sul degrado culturale e morale della società odierna. I “valori” in cui crede Rameau sono infatti quelli oggi orgogliosamente sbandierati da tanti personaggi televisivi e – cosa ancor più grave – anche da chi avrebbe dovuto e dovrebbe governarci: per esempio, se qualcuno non vale niente e non ha nessun potere, basta che si circondi di persone più “piccole” disposte ad adularlo dal mattino alla sera e alla fine costui sarà fermamente convinto di essere grande e importante; oppure, se si vuole avere una buona reputazione, bisogna farsi un bel conto in banca, perché «chi ha conti in banca la buona reputazione prima o poi se la fa»; e infine, è inutile istruire le donne, poiché il loro successo dipende dal fatto che siano carine, civettuole e divertenti.
Contro le tesi esposte dal musico squattrinato si leva, pacata ed educata, la voce del filosofo, rappresentante di solidi valori etici e culturali… Chi ne uscirà vincente?
«Rameau – si legge nel programma di sala – manca dai nostri teatri dagli inizi degli anni Novanta, un ventennio di profonde mutazioni nel corpo della nostra società civile: le sue contorsioni intellettuali quindi assumono nuovo e violento impatto e nuovi motivi di aspro divertimento.»
Lo spettacolo, che – probabilmente anche grazie alla notorietà di cui gode Silvio Orlando come interprete cinematografico – al Coccia il mese scorso (9 e 10 febbraio) ha richiamato un pubblico numeroso e partecipe, è ora in programmazione, fino a domenica 10 marzo, al Teatro Elfo Puccini di Milano.

 
 

IL NIPOTE DI RAMEAUil_nipote_di_rameau_6
di Denis Diderot
Adattamento di Edoardo Erba e Silvio Orlando
Regia Silvio Orlando
Con Silvio Orlando, Amerigo Fontani, Maria Laura Rondanini
Scene Giancarlo Basili
Costumi Giovanna Buzzi
Clavicembalista Luca Testa
Produzione Cardellino S.r.l.

 
Spettacolo visto sabato, 9 febbraio 2013 al Teatro Coccia di Novara

 
 

Clarissa Egle Mambrini

NOVARA – Domenica 21 febbraio 1993, con un concerto diretto dal Maestro Riccardo Muti e alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, novarese, si inaugurò il Teatro Coccia restaurato, chiuso per lavori dal 1986.
Per me, che avevo 9 anni e non ero mai stata in un teatro (eccezion fatta per il Faraggiana, di cui però avevo usufruito come cinema), e per un centinaio di bambini miei coetanei quella riapertura si trasformò in un’occasione di scoperta e di gioco. A scuola infatti leggemmo un libro per l’infanzia scritto appositamente per celebrare l’evento, Fantasmi al teatro Coccia di Anna Lavatelli, che, attraverso l’avventura della bimba Andrea Di Lillo, coinvolta dai fantasmi del conte Marco Caccia e del marchese Luigi Tornielli nella preparazione di un’opera composta da Carlo Coccia, diretta da Guido Cantelli e cantata da Toti Dal Monte e Ferruccio Tagliavini, ci diede modo di imparare alcuni passaggi e personaggi fondamentali nella storia del teatro novarese.fantasmi al teatro coccia
Poi, esperienza ancora più emozionante, fummo coinvolti nelle riprese di un film di Vanni Vallino tratto proprio dal libro e presentato al pubblico nel gennaio 1994, in occasione di San Gaudenzio, patrono della città. I “provini” si effettuarono a nostra insaputa, nel senso che le maestre un giorno ci fecero scrivere un tema su noi stessi (in cui io tra l’altro avevo inventato alcune cose di sana pianta, descrivendo il mio atteggiamento con i compagni di classe non per quello che era in realtà ma per quello che avrei voluto… E per fortuna qualche anno dopo sarei diventata così come avevo scritto in quel tema! Ma allora no, proprio no: ero ancora molto, molto introversa…) senza ovviamente dirci che non si trattava di una normale esercitazione, bensì che sarebbe servito al regista per inquadrare il nostro carattere e scegliere la potenziale protagonista. Così un giorno ci ritrovammo in classe Vanni Vallino che, temi alla mano, fece una chiacchierata per approfondire ulteriormente il discorso. Dopo di che la giovanissima protagonista fu scelta: doveva essere mascolina, spigliata e avere possibilmente i capelli corti: chi meglio della nostra compagna di classe Francesca? E poi, un giorno, iniziarono le riprese… e così scoprii che nel cinema esiste quell’operazione chiamata montaggio e che non è necessario girare le scene nell’ordine in cui si svolgono… e tante altre cose!
Nel giugno del 1993 inoltre mi esibii proprio in teatro per il mio primo saggio di danza. Ricordo le numerose prove, ricordo l’emozione della prima uscita sul palco e soprattutto della rassicurante sensazione di non vedere il pubblico poiché era totalmente al buio… Ricordo la maestra di danza, Vittoria Minucci, che una volta chiuso il sipario ci disse: «Non siete state brave… Siete state bravissime!» e regalò ad ognuna di noi un cerchietto e un elastico per capelli…
Stranamente non ricordo quale fu il primo spettacolo che vidi a teatro… Mi sembra si trattasse di un balletto. Ricordo però benissimo di aver insistentemente chiesto al papà di comprare i biglietti per un palchetto: mi affascinava troppo l’idea di stare lì!
Ora sono passati 20 anni da quell’esperienza, che su di me ha inciso profondamente. Il libro della Lavatelli e il film di Vallino non sono più in commercio da un pezzo… Sfogliare quelle pagine ma soprattutto rivedere il film mette tanta nostalgia. Però è anche un bel viaggio nelle emozioni…

Fantasmi al teatro Coccia
di Anna Lavatelli
Interlinea Edizioni
1993, Novara, pp. 35

Fantasmi al teatro Coccia
un film di Vanni Vallino
Sceneggiatura Anna Lavatelli, Vanni Vallino
Con Giuseppe Percivaldi, Abele Lino Antonione, Valeria Bosco, Rossana Carretto, Enrico Tacchini, Vanna Zorzi, Davide Tricotti, Luisa Bagna, Gabrio Mambrini, Cristina Baraggioni, Rossella Introini
e con Francesca Ruggerone e i 100 bambini delle classi del secondo ciclo delle scuole elementari Bottacchi, Levi, Tommaseo
Aiuto regia Nicoletta Pavesi, Claudio Pavesi, Massimo Marcotti, Paolo D’Onofrio
Musiche originali composte, arrangiate ed eseguite da Dario Artuso
Tema musicale originale composto da Marco Dondi
Organizzazione e direzione orchestra al teatro Coccia Luca Quinti

Per un po’ di storia sul Teatro Coccia, date un’occhiata a wikipedia oppure alla pagina dell’Azienda Turistica Locale.

Clarissa Egle Mambrini
(L’illustrazione della copertina del libro è di Antonio Ferrara)

NOVARA – Da alcuni anni in tutto il mondo il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria per ricordare le vittime del nazismo. A Novara, quest’anno, si è deciso di farlo con un’interessante iniziativa che ha coinvolto una settantina di bambini e ragazzi fra i 6 e i 16 anni nella realizzazione di un’opera cecoslovacca, Brundibár, composta proprio durante la Seconda Guerra Mondiale. Lo spettacolo è andato in scena al Coccia domenica pomeriggio (Giornata della Memoria) di fronte ad un folto pubblico costituito per lo più da famiglie e lunedì mattina per gli studenti delle scuole elementari e medie inferiori.
L’opera racconta di due fratellini, Pepícek e Aninka, che, per procurarsi i soldi necessari a comprare il latte alla mamma malata, decidono di cantare al mercato sperando di raggranellare qualcosa, ma vengono mandati via dal malvagio suonatore d’organetto Brundibár. I due però, grazie all’aiuto «di un impavido passero, di un astuto gatto, di un saggio cane e dei bambini del paese», riescono a scacciarlo e a cantare infine nella piazza del mercato. La storia è ovviamente simbolica: Brundibár infatti rappresenta Hitler e con esso tutte le dittature, il potere e le guerre, contro i quali si leva il canto di ribellione e di speranza intonato da questi bambini.

COCCIA BRUNDIBAR 1
I giovanissimi solisti e coristi dell’allestimento andato in scena al Coccia appartengono all’Accademia di canto e musica da camera M. Langhi di Novara, da diversi anni presenza fissa nella stagione lirica del teatro al fianco dei cantanti professionisti e protagonista già nel febbraio 2011 di Ghirlino, opera di formazione scritta da Luigi Ferrari Trecate più o meno negli stessi anni di Brundibár. Unico interprete adulto il basso Massimiliano Galli, nei panni ovviamente del cattivo suonatore d’organetto, che è comparso in scena uscendo dalla buca del suggeritore, inizialmente manovrato dai bambini come un burattino nelle loro mani. A dirigere le prodezze canore dei piccoli il loro Maestro Alberto Veggiotti, in questa occasione anche direttore degli altrettanto giovani musicisti delle Orchestre UECO e Accademia M. Langhi, guidate dalle violiniste Greta e Suela Mullaj, mentre responsabile della regia e della ideazione scenica è stata Emiliana Paoli, anch’essa “vecchia” conoscenza del Coccia, con cui ha collaborato come regista e assistente regista in diverse produzioni, facendosi apprezzare soprattutto per la bravura nel lavorare con i bambini (ricordiamo La Bohème nel novembre 2007, Cavalleria Rusticana e Pagliacci nel febbraio 2010, il suddetto Ghirlino e tutte le opere della scorsa stagione, solo per citare alcuni titoli). A completare il già nutrito cast le ginnaste della Società Ginnastica Pro Novara dirette da Michela Fitto e le ballerine di Studio Danza dirette da Alida Pellegrini, che hanno deliziato il pubblico con acrobazie e coreografie.
Come confermatoci dalla stessa Emiliana Paoli, non trattandosi di un allestimento di routine, cioè riguardante un’opera rappresentata da professionisti, la preparazione di Brundibár (e con ciò intendiamo riferirci principalmente al lavoro svolto con cantanti, coro e orchestra. L’ideazione di scenografie e costumi solitamente viene fatta con buon anticipo anche negli allestimenti abituali) è durata alcuni mesi, non solo i classici dieci o quindici giorni: le prove infatti sono iniziate lo scorso ottobre, impegnando bambini e ragazzi ogni due fine settimana in un lavoro in divenire, poiché sia la parte musicale sia quella registica venivano costruite man mano proprio in quel frangente, mentre nella settimana precedente il debutto le prove si sono svolte tutti i giorni, dalle 17 alle 21. Nel caso di Brundibár, così come con qualsiasi altro spettacolo realizzato con dei ragazzi, «non c’era l’attore che arriva già con la parte pronta per le tante volte in cui l’ha recitata: qui era tutto da costruire, ed era più facile perché così avevo l’opportunità di vedere realmente in scena quello che io, regista, volevo vedere e comunicare. È stato un lavoro molto gratificante, perché tutto quello che succedeva sul palco sapevo di avercelo messo io».
Un grande impegno, quindi, quello in cui si sono profusi questi giovanissimi per realizzare lo spettacolo, probabilmente anche sacrificando ore di gioco e uscite con gli amici. Penso siano da ammirare, che siano un esempio per i loro coetanei e per i troppi adulti – genitori e insegnanti compresi – sempre più indifferenti all’importanza della memoria storica e della cultura. Sono certa che un’esperienza simile sia stata altamente formativa per loro, esibitisi come piccoli, grandi professionisti, con una passione ed un entusiasmo che hanno colmato alcune trascurabilissime imprecisioni, forse dovute anche alla comprensibile ed immancabile emozione.

COCCIA BRUNDIBAR 2

La genesi di Brundibár ha tra l’altro una storia molto particolare, che è doveroso ricordare per apprezzarne ulteriormente il valore e il significato. Si tratta di un’opera per bambini in due atti scritta da Hans Krása su libretto di Adolf Hoffmeister nel 1938 e rappresentata per la prima volta all’orfanotrofio ebraico di Praga nel 1942, quando il compositore e lo scenografo Frantisek Zelenka erano già stati deportati nel campo di raccolta di Terezin. L’anno successivo tutti i membri del coro e il personale dell’orfanotrofio furono a loro volta deportati a Terezin (solo Hoffmeister fece in tempo a fuggire) e a quel punto Krása ricostruì a memoria la partitura adattandola agli strumenti disponibili nel campo – chitarra, clarinetto, contrabbasso, fisarmonica, flauto, percussioni, pianoforte, quattro violini e un violoncello – , mentre Zelenka ridisegnò le scenografie e Camilla Rosenbaum curò le coreografie. Nacque così una nuova versione di Brundibár che andò in scena il 23 settembre, con diverse repliche fino al 1944, quando fu anche rappresentata nel corso di un’ispezione della Croce Rossa e in un’altra occasione filmata per una pellicola di propaganda nazista. Nel documentario Voices of the children di Zuzana Justman – una delle piccole coriste di Terezin – si trovano le immagini relative a quella registrazione, in cui compare anche Ela Weissberger, che all’epoca vestiva i panni del Gatto. Pochi dei partecipanti alla prima di Terezin sopravvissero all’Olocausto: la maggior parte – compreso Krása – morì ad Auschwitz.
L’allestimento curato dalla Paoli ha voluto in qualche modo ricordare il fatto che Brundibár nacque in un campo di concentramento, ideando una scenografia essenziale (per cui ci si è serviti anche di videoproiezioni) costituita da elementi che simboleggiavano alcune caratteristiche di quel luogo infernale e che magicamente poi si trasformavano nei negozi della piazza del mercato. Un contrasto sottolineato dalle scelte cromatiche: dalle tonalità cupe di scene, luci e costumi del prologo, in cui i piccoli attori, sulle note del celebre tema strappalacrime composto da John Williams per il film Schindler’s list, entravano nel campo di concentramento, venivano costretti a spogliarsi dei poveri abiti e separati gli uni dagli altri, si è poi passati ai colori caldi e luminosi dell’opera vera e propria, in cui i bambini stessi, come in un sogno, si sono riappropriati dei propri vestiti, hanno allestito il palcoscenico e hanno messo in scena la favola, per tornare infine alla desolazione del campo di concentramento però con una nuova consapevolezza. «Termina la rappresentazione», si legge nelle note di regia, «e torna il “controllo”, ci si risveglia dal sogno, il sipario si chiude e la storia finisce; ma immediatamente si riapre su di un nuovo giorno, su una realtà che comunque è cambiata perché il vissuto della notte acquista valore reale; sconfiggere nella finzione Brundibár regala una sensazione positiva, qualcosa è mutato nella coscienza. Brundibár è sì un racconto di fame e desolazione, ma è anche un messaggio di speranza, è la vittoria dell’unione sull’arroganza del potere».

Foto di Mario Finotti
All’inizio e alla fine dello spettacolo sono state lette e proiettate sul fondale alcune toccanti parole della sopravvissuta Ela Weissberger: «Quando noi cantavamo, dimenticavamo la fame, dimenticavamo dove fossimo. Quando eravamo in scena, sul palco, dimenticavamo ogni cosa. E quando, alla fine, cantavamo la canzone della vittoria, immaginavamo di aver sconfitto Hitler. C’era tanto potere in questa musica…». Nella recita di domenica pomeriggio, inoltre, al termine dell’opera sono state lette le testimonianze di alcuni sopravvissuti al campo di Terezin, interpretate da coppie costituite da bambino e adulto rappresentanti lo stesso personaggio com’era allora e com’è adesso.
Ottima iniziativa, quindi, questa, per ricordare ancora una volta l’atrocità dei campi di sterminio e del genocidio degli ebrei. Sarebbe buona cosa, però, che sia a scuola sia altrove ai bambini e agli adulti si ricordassero anche gli altri stermini di massa che hanno insanguinato il genere umano, taciuti e dimenticati perché – come affermano gli stessi storici – la Storia la scrivono i vincitori ma purtroppo spesso anche i vincitori hanno commesso crimini disumani.

 
27 e 28 gennaio 2013 – Teatro Coccia
BRUNDIBÁR
Opera per bambini in due atti su libretto di Adolf Hoffmeister
Versione Terezin 1943
Musica di Hans Krása
 
Solisti e Coro di Voci Bianche a cura dell’Accademia M. Langhi
Basso Massimiliano Galli

Orchestra Ueco Junior e Orchestra dell’Accademia M. Langhi
Violini solisti Greta e Suela Mullaj

Maestro del Coro e Direttore d’orchestra Alberto Veggiotti
Direzione musicale a cura di Marina Goggi
Regia e idea scenica Emiliana Paoli
 
Movimenti coreografici in collaborazione con
A.S.D. Società Ginnastica Pro Novara 1881
Responsabile tecnico Michela Fitto
Studio Danza Novara A.S.D.
Direttore Alida Pellegrini

Lighting Designer Ivan Pastrovicchio
Maestri Collaboratori Ivan Magnelli, Alba Pepe, Matteo Spina
Allestimento scenico e costumi Fondazione Teatro Coccia

Coproduzione Fondazione Teatro Coccia e Accademia di canto e musica da camera M. Langhi

 
Spettacolo visto domenica, 27 gennaio 2013

Clarissa Egle Mambrini
(Foto di Mario Finotti, Fondazione Teatro Coccia.
Per le dichiarazioni rilasciate da Emiliana Paoli si ringrazia Serena Galasso, Addetta Stampa del Teatro)